Sicuramente la #COP27, di Sharm el-Sheikh, non verrà ricordata come una Conferenza di avanzamento delle istanze green globali. Terminata domenica 20 novembre, le trattative si sono protratte oltre il termine previsto, per poter arrivare ad un difficile accordo finale. Il vertice è stato caratterizzato da lunghe discussioni, trattative e veti incrociati, che ne hanno minato la capacità di raggiungere obiettivi e soluzioni concrete. Nei fatti era già partito col piede sbagliato, basta pensare che i dati forniti dal Corporate #EuropeObservatory e da #GlobalWitness indicavano la presenza di 626 lobbisti delle fonti fossili.
Possiamo schematizzare il documento finale in tre punti:
– L’istituzione del Fondo per #Lossanddamage, si tratta dell’unico aspetto realmente rilevante del vertice. Dopo più di trentanni di tentennamenti, si è deciso di istituire un fondo di compensazione finanziato dai paesi ricchi per aiutare i paesi in via di sviluppo, i più colpiti dal #cambiamento climatico, dagli eventi meteorologici estremi, dal #razzismoambientale. L’accordo è vago sui criteri che porteranno all’erogazione dei fondi.
– Le delegazioni alla COP27 si sono nuovamente impegnate a mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto degli 1,5 °C, rispetto al periodo preindustriale. Considerando le attuali politiche adottate dai vari paesi, senza misure concrete atte a dimezzare le emissioni di #gasserra,si stima che l’aumento della temperatura media globale sarà di 2,1-2,9 °C per questo secolo.
– Il documento finale della COP27 non contiene grandi progressi nella riduzione dell’impiego dei #combustibilifossili, peraltro nominati una sola volta, rispetto al testo approvato alla COP26 dello scorso anno a Glasgow.
L’appello degli scienzati e i dati forniti sull’urgenza di agire ora e subito per contenere il riscaldamento globale entro 1,5° C, ancora una volta è rimasto inascoltato.